giovedì 15 dicembre 2016

"Los ultimos de Filipinas", dalla storia a modo di dire

Se frequentate spagnoli e in qualche occasione vi capiterà di essere proprio gli ultimi ad arrivare o ad andare via o a rendervi conto di qualcosa, è probabile che vi chiameranno scherzosamente "los ultimos de Filipinas". 
Questa locuzione si riferisce ad un evento assolutamente reale e ben documentato che ebbe luogo appunto nelle isole Filippine durante e oltre la fine della Guerra Ispano-Americana detta anche Guerra di Cuba. Alla fine dell’800 del vastissimo viceregno della Nueva España non rimaneva quasi più niente visto che praticamente tutte le regioni dell’America Latina e Centrale si erano già conquistate l’indipendenza e allo stesso tempo gli Stati Uniti continuavano la loro politica di espansione dopo aver già preso alla Spagna gran parte del nord del Messico (California, Texas, Arizona, Nevada, Colorado, ...).
Il conflitto scoppiò a seguito dell’esplosione della nave da guerra Maine nel porto dell’Avana (Cuba), che causò la morte di oltre 250 militari, ma non è stato mai accertato che fosse sabotaggio e non semplice incidente. La Guerra coinvolse anche altri territori, molto lontani fra loro, come Puerto Rico e le Filippine. Qui, come anche a Cuba, già operavano gruppi di indipendentisti-rivoluzionari e la Spagna di allora non aveva né uomini, né soldi, né mezzi per controllare tutti questi territori così vasti e così lontani. La Guerra durò meno di 4 mesi (dal 21 aprile al 13 agosto 1898) e il 10 dicembre fu firmato a Parigi l’accordo con il quale la Spagna si impegnava a cedere le Filippine agli Stati Uniti per 20 milioni di dollari, accordo ratificato l’11 aprile 1899.
Come in ogni guerra, ci sono soldati mandati a combattere con pochi mezzi, scarsa preparazione e senza conoscere esattamente i motivi del conflitto. Così capitò a 50 di loro che, a febbraio 1898 e sotto il comando di 4 ufficilai, furono mandati a Baler, piccolissimo e isolato villaggio a circa 200 km da Manila (Filippine), per sostituire la guarnigione che era stata quasi completamente trucidata dai rivoluzionari.
La loro storia divenne “esemplare” in quanto, fra alterne vicende, scontri con gli indipendentisti, malattie letali come il beriberi, scarsezza di viveri e qualche diserzione, resistettero per quasi un anno senza mai rendersi conto dell’inizio e della fine della Guerra.
Per la verità, sia i rivoluzionari (che non avevano un vero interesse nel cacciarli da una chiesa ormai diroccata priva di alcun valore strategico e che già erano passati a combattere i nuovi nemici, gli americani) sia un ufficiale spagnolo che rientrava in patria tentarono di convincerli ma l’irremovibile tenente Martín Cerezo non si fidò neanche dei documenti e ordini scritti, ritenendoli falsi. Alla fine cedette all’evidenza quando gli furono portati vari giornali e riviste che riportavano gli esiti della guerra.
   
Così, ai 33 sopravvissuti fu concesso l’onore delle armi e non furono fatti prigionieri, né dai filippini né dagli americani e rientrarono in patria dove Martín Cerezo fu decorato e continuò la sua carriera militare e infine scrisse un libro sui 337 giorni del sitio de Baler (l’assedio di Baler).
Da qualunque punto di vista si voglia giudicare questa storia che venne ampiamente riportata sui giornali dell’epoca, atto di eroismo, perfetta strategia, abnegazione o tattica militare, diventò esempio di resistenza ad oltranza e gli assediati simbolo degli ultimi in assoluto, nel bene o nel male.
Quindi gli ultimi a lasciare una festa, o gli ultimi ad arrivare (in gran ritardo), gli ultimi ad arrendersi all'evidenza dei fatti o ad una innovazione tecnologica vengono ancora oggi chiamati "los ultimos de Filipinas". La loro storia ha anche fornito lo spunto per un paio di film, uno appena uscito.

Concludo con una delle mie solite associazioni di idee, che non poteva sfuggirmi essendo un altro modo di dire: “tira (votta) ‘na bella filippina”. 
Non ci sono dubbi in merito al significato del termine, si tratta di un vento gelido e secco (di solito la tramontana) ma per estensione si applica anche a spifferi che entrano da una porta o finestra mal chiusa. L’origine non è certa, il solito Brak scrive “... è un prestito lucano (Tursi piccolo comune montano della provincia di Matera) con riferimento al vento particolarmente pungente che spira colà nel rione della Chiesa di san Filippo Neri”, ma mi sembra un po’ debole essendo troppo localizzato e per di più in un piccolissimo paese, ma altrettanto fantasiosa appare l’etimologia proposta nel Lessico etimologico del dialetto brindisino:

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